giovedì 12 febbraio 2009

Il pan con l'olio

Per chi, come me, è cresciuta in una casa spesso piena di ospiti, dove c'era sempre necessità di pelare patate, affettare ortaggi e impastare acqua e farina, è stato naturale appassionarsi alla cucina fin da piccola... Crescendo è piuttosto normale che poi le abitudini un po' cambino: aumentano gli impegni, si ha sempre meno tempo per tutto, ma si impara anche a fare di necessità virtù, cucinando magari un po' meno ma forse (anzi, spero) un po' meglio!
Da anziani capita invece che il piacere di cucinare sia spesso offuscato dal pensiero che mette poi lavare i piatti, risistemare e pulire tutto... va così a finire che con sempre maggiore frequenza ci troviamo a dire la classica frase "Ma perchè non si va a mangiare qualcosa fuori?" ... Peccato che con altrettanta maggiore frequenza si ritorni a casa delusi dalla scarsa qualità dei piatti che gli chef di questa bella città ci presentano ogni volta. Che poi, dico io, mica si pretende 'la cena perfetta', mica siamo Vissani che a casa si cucina chissà che, ci basterebbe mangiare decentemente, e invece niente, ogni volta si prende una bella fregatura! Ovvio che poi ci si sfoga così, raccontando le nostre disavventure e condividendole con quanti (a dire il vero siete sempre di più!) leggono, sono convinta facendosi delle gran risate, delle nostre cene in giro per Arezzo.
Giorni fa leggevo su D La Repubblica delle Donne un articolo sull'ultimo bestseller di Tamasin Day-Lewis (sì, la sorella di Daniel), una sorta di raccolta di ricette on the road tra America e Italia, e mi ha fatto sorridere una riflessione della scrittrice: "La vita di un travelling food writer non è sempre un letto di morbido foie gras. Spesso si mastica amaro"... come la capisco, a noi capita anche troppo spesso di mangiare male!
Per l'appunto che si parla di fegato d'oca mi torna in mente qualche settimana fa, quando ci si fermò a cena con mio nipote a Il Chioschetto, quella trattoria piccola ma davvero molto carina in via Cavour, davanti al Liceo classico per intendersi... Insomma, era un lunedì di gennaio in tutto e per tutto, con un tempo freddo e umido che in centro al di là della desolazione c' era ben poco, per cui vedere questa chicca di localino ci fece venire la voglia di entrare... e dopo poco anche quella di uscire, però!
Ci accoglie una signora con un bellissimo sorriso e già per mio nipote la serata poteva andar bene così; io che invece non sono altrettanto fortunata con la parte maschile presente in sala mi butto subito sul menù... cucina decisamente toscana, ma va bene così, del resto dove siamo, no? Ordino al solito l'antipasto della casa tanto odiato da mio marito, ma che sinceramente sta stancando anche me perché mai una volta che fosse decente, e mio nipote una tanto decantata zuppa di verdure con zucca gialla, in pole position tra i piatti del giorno, e qualche focaccina di ceci che lo chef accompagna ad un altro piatto ma che ci fanno la cortesia di portarci lo stesso.
In men che non si dica arriva tutto in tavola... dunque, da dove inizio? Allora, la zuppa, dalla cubettatura delle verdure inconfondibilmente industriale, non era altro che un minestrone che sapeva tanto di That's Amore e poco più; le focaccine, che la signora ci ha assicurato in tutti i modi lo chef facesse assolutamente e unicamente con farina di ceci, erano bianche come la polenta veneta e insapori come l'acqua del Po (quando ripasso di lì gli porto un sacchettino di ceci a vedere se li conoscono!); l'antipasto una bella piattata svuota frigo in cui, oltre il solito affettato, spiccavano una fetta di paté di fegato duro che ci voleva il coltello per tagliarlo; una improbabile mousse di boh e una tartelletta di pasta frolla, di quelle che trent'anni fa trovavi nei rinfreschi delle comunioni con dentro crema e frutta, ripiena di un non so cosa veramente rancido, all'assaggio della quale ho diligentemente posato coltello e forchetta alle 16:20 e passato il piatto alla signora perché ne era davvero intollerabile anche solo la vista!
A quel punto, direte voi, avremmo fatto meglio ad alzarci... e invece noi no, duri come le pine verdi si ordina un peposo con patate arrosto di contorno, a vedere se si riesce a mangiare qualcosa. Macché, fregati anche lì, perché le patate erano lesse e la carne uno spezzatino stoppaccioso che i miei poveri denti faticavano a mandar giù! Ovviamente scoraggiati, mai quanto la signora che continuava a portarci e riportarci via piatti quasi intonsi, ordiniamo un'altra bottiglia di vino e ci mangiamo due belle fette di pane con l'olio sotto gli occhi esterrefatti della signora che, secondo me, c'aveva già il conto in mano tanto sperava ci alzassimo. Invece siamo rimasti ancora un bel po', anzi, tornassi indietro gli chiederei anche un bel pomodoro da struffarci sopra, come si dice in casa mia!
...Ah, il conto? 69 euro di cui 30 di vino, con scontrino rigorosamente spillato al biglietto da visita come a dire 'fateci pubblicità mi raccomando'... e come no, ve lo raccomando sì il Chioschetto, più che altro vi raccomando di non andarci!!!
Alle prossime,

Sbaffina

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